Storia molto, molto breve.

Vestita di nero, mi pare una madonna. E se penso a quei capelli ho i brividi che s’appendono alle carni. Mi fa paura, perché chissà chi sarebbe adesso se fosse stata una donna siciliana vecchio stampo – avrà pensato la stessa cosa anche lei mentre parlava come una siciliana a Londra.

Ringrazio il cielo sia nata eterna, eh, perché lei è eterna come Roma. Già nel ’68, coperta dalla testa ai piedi sarebbe riuscita a far nascere in te le voglie più sublimi, sempre senza esagerare, dando il dieci percento di sé; le gambe accavallate e Monica, nata eterna nel 1931, non mostra i segni di una guerra e ride e fa il segno della pistola con le dita, spara mille colpi alla macchina fotografica e alla fine ti ritrovi innamorato.

«Po-posso chiederle un autografo?» – chiesi in imbarazzo. «Ce-ce-certo che puoi chiedermi un autografo, a-a-anche senza balbettare, se preferisci » rispose lei facendomi un sorriso e, direi, compatendomi. Arrossii, stavo sognando, cominciavo a non capire se quel che stavo per fare fosse astratto o reale e tutto sembrava scorrere ad una velocità moltiplicata per trenta, sembrava comunque troppo poco. «Suvvia, che sarà mai? Sono una donna come le altre, io! Tu invece mi sembri un uomo particolarmente sensibile o forse non hai mai visto una donna?» – rise di me affettuosamente. Per quanto mi riguarda avrebbe potuto deridermi in maniera crudele, ed io sarei rimasto estasiato comunque; capita mica ogni giorno d’incontrare la madonna.

«M-ma no, è che, cioè, insomma, credo che non capiterà più un’occasione simile, capita una volta ogni tanto, n-non è che potrei offrirle un caffè uno di questi giorni?» Scoppiò in una risata e anch’io scoppiai in una risata, sembravamo una risata gigantesca, solo che lei magari rideva perché la facevo ridere, invece io ridevo perché non sapevo cosa diavolo fare. «Certo che sei proprio un bugiardo! Incontriamoci qui domani, il caffè te lo offro io.» Prese il rossetto e mi fece l’autografo, mi diede un bacio con la stessa penna e tornò in auto.

«Signora, signora! Ma a che or…cazzo.» – La macchina andò via.

L’indomani mi recai al bar alla stessa ora, ma di lei neanche l’ombra. Si fecero le 21, poi le 22 ed io a girare lì come un cretino tirando via l’ultima cicca con le dita. Aspettai mezz’ora e poi tornai a casa. I miei erano furibondi, non credevano avessi ricevuto un bidone da Monica Vitti.
In fondo, chi ci avrebbe mai creduto?

Se ne è andata come nel film, correndo da Baker.

* * *

3 ottobre 2012, la data di questo vecchio tema.

2 febbraio 2022, il nostro amico l’aspetta ancora quel momento ma da un po’ non ci crede più che avrebbe potuto prendere il caffè con Monica Vitti. Crede invece di esser stato preso per il culo, che è sempre stato molto più credibile.

Standard

guarda che occhi cerchiati che hai

sarebbe bello poter decidere di aggiungere un po’ d’asfalto a questa strada sterrata, ma perderebbe ogni filo conduttore col naturale scorrere degli eventi. la vita è la vita sempre, non soltanto quando te ne rendi conto, anche perché te ne rendi conto sempre troppo tardi o quando gli unici passi che fai sono sempre gli stessi, nello stesso posto, alla stessa ora: quotidiana abitudine.

ho troppe lune in tasca e l’ansia mi mangia lo stomaco ogni giorno che passa lento, lento, uguale, uguale. e non sono l’unico. siamo una generazione sfigata e ci troviamo in mezzo ad una situazione che sfida prepotentemente i nervi saldi di ognuno di noi, amico, renditene conto anche tu. non andiamo ad un concerto da tantissimo tempo, lavoriamo per campare ma c’è chi non può fare neanche quello. come in un tango facciamo un passo avanti e due indietro. ed è in momenti di stasi come questi che allora inizi a ricordarti di cose che avevano deciso di entrare in letargo. gli occhiali di tua nonna, il metro attorno al collo, lo spazio tra i denti da latte, i capelli tagliati col pentolino, frammenti in bassa risoluzione tipo tv al tubo catodico. ecco, tipo la tv che mi è caduta sulla mano e sono rimasto col medio alzato per tipo un mese. te lo ricordi? avevo 8 anni. pensandoci adesso, i ricordi di quei tempi mi appaiono come se anche i vestiti, le carrozzerie delle auto, le tende delle case, Pippo Baudo, le piastrelle del bagno e addirittura i pensieri fossero stati a righine come gli sprite dei videogiochi a 16-bit. il tempo passa in fretta quando siamo insieme noi, ma quella porta alla fine dobbiamo aprirla, amico mio, per quanto triste sia. ora ho pure una nipotina Viola, due nani rocchettari, faccio il pane in casa, faccio l’idraulico e l’elettricista. te lo immagini? assurdo.

casa nuova è davvero bella, un sacco luminosa. appena si può uscire organizziamo una megacena, tutti insieme, c’è anche un bel balcone da cui si vedono le montagne piene di neve quando il cielo è sereno. sono sicuro che ti piacerà un sacco! mi sento così bene che alle volte mi stendo sul parquet e chiudo gli occhi, per qualche minuto sto lì e poi squilla il telefono e mi devo rimettere al pc. comunque, tornando ai colpi di scena: vogliamo non parlare della Mancanza? ormai fici amicizzia puru cu’ idda. la mancanza mi mancava veramente da tanto. perché lei non è che se ne va, compà, lei rimane appollaiata da qualche parte e quando meno te lo aspetti la senti gracchiare dalla stanza accanto. e allora vedi? devi aprire per forza la porta e capire di che cosa sta parlando: vuoi un caffè? forse un tè? e così via, pensi a tutto quello che conosci e anche le cose più cretine diventano così importanti, perché non lo sai subito che cosa vuoi, finché non ti arrendi e ‘stu corvo si avvicina e ti racconta che cosa vuoi tu, ormai non decidi più niente. alle volte ridi e alle volte no, perché finché ti racconta il mare puoi tampasiàre, ma se ti racconta la vita non è proprio così semplice, poi, trattenere tutta quell’acqua. e quindi qui, fermo, ora, tra un lavoro e l’altro, aspettando che T torni finalmente a casa, mi assale una voglia di pasta al forno ma anche di sentire l’odore della casa di mamma, in mezzo alle campagne dei contadini “miii, chi si fattu ‘ranne“, “ti vuliss’abbiriri“, “antonio basta, guarda che occhi cerchiati che hai, astutasta televisione, amunì – ora basta!. ed io mi ricordo, vedi tu che casi, come si fa a scrivere qualcosa che non so pronunciare:

ciao nonna, come stai?
ciao gioia, mah, discretamente

Standard

e ricordando che tutto va come va…

ogni anno l’ingresso di settembre è stato descritto dentro un disco dei Fine Before You Came1. quello è stato un anno grande davvero. potrei dire di avere iniziato questo processo di cambiamento proprio in quell’anno, insomma almeno in quel periodo. tra l’altro mi ricorda davvero un mucchio immenso di cose, persone, momenti: T che mi porta per le sue strade la prima volta, i lampioni gialli che ci inondavano prima di entrare al Bloom; il paese più verde che avessi mai visto fuori dal confine; la discutibile. mi ricorda, anche quella. io e C chiusi nella mia stanza con un chitarrino e un mixer, che registravamo col microfono dell’iPhone 4 e un microfono Phillips preistorico e – se non erro – nemmeno funzionante; la tizia molesta della stanza di fronte che gentilmente tuppuliàva dicendoci “bravi bravi, però potreste abbassare il volume che devo dormire“. la discutibile è nata lì, nel poco tempo che ho vissuto da solo con la necessità di libertà che mi sfiniva, ma che alla fine mi ha stretto una mano al collo. con un sasso sulla pancia e un pensiero bello in testa. ebbene, oggi inizia settembre e per la prima volta non ho ascoltato nemmeno una canzone di questo disco seppur me ne stia venendo in mente l’immagine. in toto mi sento un uomo più felice.

una volta ho detto ad una persona: “oggi per la prima volta mi trovo ad aver preso una decisione importante e non ho paura del mio futuro” – sto imparando a trattare il mio mese preferito con un po’ più di serenità, mi lascio trasportare via da settembre verso un destino che non conosco ma che mi ha guardato per così tanto tempo, che alla fine la scelta mi stava così in fronte da sfocarsi e allora ho messo via gli occhiali (sono miope). ed ho deciso di andarmene via. ho preso un biglietto di sola andata, fatto i bagagli, preso appunti e inscatolato i miei libri, svuotato i cassetti, i miei vestiti invernali, i miei vinili, i miei poster, le foto di T appese al muro. ho avvisato i miei genitori e mia madre (che non ha ancora accusato il colpo) mi ha chiesto se poi, una volta lì, mi dimenticherò di lei; ho salutato M, A, L, S2, F, K, CR, AN, C ed ho concluso questa mia parte di vita andando ad un concerto in cui ho cercato la gente con cui avevo un posto in una canzone, ho urlato a squarciagola le “parole a caso, ma che conosci” prima di quel grande, immenso, imparagonabile senso di sfogo che anticipa il pianto a dirotto, la rivincita contro il tempo, l’urlo che precede l’urto, una firma alle mie scelte, il climax, il mio momento indimenticabile per sempre, l’unisono, l’unica voce condivisa. io ho distrutto la distanza. ho raggiunto la T che mi è mancata per troppo tempo. e poi la serenità…senza macchie sul cuore: candele accese una notte d’inverno. se una notte d’inverno un viaggiatore non viaggiasse più avrebbe il mio nome, una macchina carica e chili di chilometri. la consapevolezza di saltare più in alto degli altri. se potessi parlarmi da solo mi direi all’orecchio di non mandare tutto a puttane, che ce la posso fare.

non è ancora il mio ultimo giorno in città ed ho ancora tantissime lettere del mio alfabeto da salutare. mi fanno male gli addominali e le spalle, credo di avere qualche livido, la mia stanza non è mai stata così desolata da quando la conosco e, anche se fuori faccia ancora un’afa immensa, sembra che lì dentro ci sia più vento del solito, mi ricorda la copertina di un disco2. devo ancora chiudere qualche pacco, pulire qualche altro vestito. nel frattempo la discutibile si è sciolta, ma siamo rimasti amici; non è vento di cambiamento ma di speranza. ancora una volta sono caduto nella trappola, solo che stavolta non è scattata.

ed oggi lo so.

21766753_10213919832900429_1574891574251945280_n

bastava urlarlo così, forse allo specchio! ma poi t’arrabbi, poi t’incazzi, poi…che bastava urlarlo così! lucio! lucio dove vai?! bastava urlarlo così! bastava urlarlo così! ma poi t’arrabbi, poi t’incazzi, poi…bastava urlarlo così! va bene così! va bene così!

 

1 ormai, 2012 – ascoltatelo, fatevi un favore
ecco la copertina

Standard

littra

sapissi, gioia mia, quantu mi piacissi. ‘un fumu cchiù, ‘un manciu cchiù, ‘un parru cchiù, ‘un m’appriecu cchiù e mi fazzu i fatti mia, ‘un n’haiu cchiù a scrima n’to mienzu, niente capiddi luonghi, cavusi spardati, sugnu nuovu. ‘unn’è cchiù un discussu ri malu carattere, è na cuosa troppu granni, m’enzignari arriere comu si fa. doppu ca sfasciavu tuttu chiddu ca passava pi giustu si po’ diri ca nascivu arriere. tu chi dici? mi pare c’haiu n’atra piedde, ca finaimmente putissi fare tuttu chiddu ca siempre vulieva fare. tutta st’autostrata m’abbuttò, tutti st’aeri i canusciu ormai, sugnu n’astruonomu e sacciu ‘u tiempu e canusciu tutti’i nèule, tutt’i paisi ca viu r’u cielu quannu sugnu ntall’aria e ci viu sempre un pocu ri tia. mi piace pinzare ca paittu pi travagghiu, fino a quannu lassu a famigghia, pigghiu un aeriu e toirnu priestu. e puru ca c’è stu focu “stu pezzu ri Milanu” mi pare a cosa cchiù biedda r’u munnu. t’arriuordi dà siritìna? e chi t’arriuordi? tutta st’acqua c’ha statu siempre e mi cummìnciu sempre chiossai ca semu staggiùni, io e tu. e c’è una staggiùni pi taliàri, una staggiùni pi ‘nzunnare e n’atra p’inzignarisi, n’avutra ancura pi fari. e ora tempu ri fari è, uora ca vinn’astati e ci si tu in mienzu a sta capitale, rintra ‘u vistitu cchiù bieddu, aggritta r’assai, cu l’uocchi chini i suli. e nn’a st’aeriu tutti battinu i manu e io ti pienzu. e ‘un mi po’ paci ca chisti battin’i manu attìpo babbasunazzi mentri iu pienzu a tìa e c’è puru sta cristiana ca parra, parra…e già ‘un ‘a sientu cchiù r’un’ura. ma viri tu quantu semu diversi: assittati n’a stissa seggia r’u stissu culuri, trattati comu si fussimu uguali tutti. però io penzo a tìa e iddi battinu i manu. u sai…a diffirienza è ca mi sientu sta vita divieissa, prima unn’avissi fattu casu a nienti; uara spìru ca macari avissiru pinzièri diversi r’i mìa e ch’i facissiru valìri, ma no chiòssai ru mìu, ma quantu u mìu. tu mi canciasti assai e sap’iddu quantu t’e ringrazziari. ormai ‘un haiu cchiù ammi pì ghiriminni.

* * *

sapessi come vorrei, mia cara. ho smesso di fumare, ho smesso di mangiare, ho smesso di parlare, di calcare la mano dove non dovevo e di camminare in prati non miei, di portare la riga in mezzo, i capelli lunghi, i pantaloni strappati, mi sono rigenerato, ho smesso di pensare dentro ad una stanza. non è più un discorso che tratta cattive abitudini, ormai è una cosa molto più grande, bisogna imparare di nuovo come si fa. dopo aver distrutto tutto quello che per una vita intera ho erroneamente dato per giusto credo possa chiamarla rinascita. non sei d’accordo? mi sembra di avere un’altra pelle, che i miei propositi siano diversi e più adatti a ciò che voglio. tutta questa autostrada mi ha stancato e tutti questi aerei li conosco, sono un astronomo e un meteorologo e conosco le nuvole, i paesi che sorvolo e trovo sempre tracce di te. mi piace pensare di andar via per lavoro fintanto che lascio casa, prendo un aereo e torno presto. anche se fa caldo, “questo pezzo di Milano” mi sembra la cosa più bella del mondo. ti ricordi quella sera? che ricordi hai? hai mai fatto caso che la pioggia è sempre stata presente in questa storia? mi convinco sempre più che queste nostre vite siano stagioni. ma c’è una stagione per guardare, una per sognare e un’altra per imparare e un’altra per fare. e adesso è tempo di fare, che è arrivata l’estate e in mezzo a questa grande città ci sei tu, nel migliore dei tuoi vestiti, sveglia da un sacco di tempo, col sole negli occhi. e in questo volo in cui tutti battono le mani io penso a te. e rifletto sul fatto che io penso a te mentre questi battono le mani come dei cretini e c’è sta tizia, che continua a parlare con me che ho smesso di ascoltare un’ora fa. ma guarda quanta differenza c’è tra me e loro, seduti negli stessi posti degli stessi colori, trattati allo stesso modo da chiunque. io penso a te e loro battono le mani e mi viene da ridere. ed è qui che mi accorgo della differenza: prima non avrei badato a tutto questo; oggi spero che abbiano pensieri diversi dei miei e che li facciano valere, non più del mio, ma quanto il mio. mi hai cambiato e non sai quanto te ne sono grato. non ho più le gambe per andarmene.

 

tumblr_o8bhg75aLF1r9zu9to1_500

“nei nuttati nzémmula, i mé ammi nmienzo ei tua ‘un sacciu cchiù quali su. ma allura rimmillu tu cu quali ammi minn’è ghire…s’i fussi oniestu e s’u cielu fussi cchiù lieggiu, vulassimu…”

Standard

si minore, la, sol, la

nelle ultime settimane ho scoperto di commuovermi frequentemente. i motivi sono spesso personali ed importanti, ma soprattutto semplici. mai complessi: mi commuove uno sguardo o un gesto che conosco, la mancanza di un passeggero in auto, riconoscere che il profumo che sento non è quello che amo scoprire appena sveglio, oppure ancora il pensare al futuro, questo più di tutto mi commuove perché so esattamente cosa voglio e sarei anche disposto a far follie per averlo. sono quasi certo che sarà come trattenere il respiro in attesa di qualcosa di grande che irrimediabilmente si rivelerà piccolo: nessun boato per questa caduta, se tutto va bene casco sul letto che ho sistemato domenica e domenica è la fine di un’andata ormai da un pezzo. stare sul pezzo mi commuove, mi comunica di muovermi facendomi bruciare gli occhi dopo aver sentito un pezzo di una canzone che, oh cazzo, casca sempre in quel momento e tu ti chiedi se effettivamente fai bene a sentirti pure un coglione; mi stringi la mano. eccolo di nuovo il fuoco negli occhi, diverso di colore, ma purificante, acqua che brucia: naso libero, mi sento morire, pensieri in corso e l’erba accanto ai bordi del passeggio fuori dal portone di casa, la salvia che cresce sotto all’ulivo, chiavi che battono di un rumore diverso in tasca, la tua grazia, anche respirare mi sembra diverso dal solito, è più facile. è vero, “un paese ci vuole”, non fosse che per raggiungerti, dico io. questo è pavese o quasi, forse è dimartino, ma neanche, però mi commuove anche questo. mi chiedo se sia giusta tutta questa tiritera, trattenermi dal non volere andare, che dove vado poi quando torno? io non sono più io dove sono, vedo un oceano tra le tue braccia, mi guardo a destra, trovo il costume e le chiavi dell’auto, trovo una nostra foto sfocata che sembra quella di dylan in blonde on blonde, mi commuove anche quella. non riesco a dormire, purtroppo devo, sono le due meno dieci ed ho un pianoforte in testa che mi illumina gli occhi. penso alla neve che non so, alla primavera che si porta via i ritorni e mi accorcia i baffi, al mare diverso, più scuro coi pesci che si vedono e le persone che amo, e allo stesso sole che conosco. sta finendo l’inverno con le ultime piogge, io sono nato di marzo ed ho sempre avuto le idee chiare su chi sono ma da mesi mi commuovo quando penso te l’ho detto: io non sono più io dove sono adesso.

File_000

foto sfocata, scale di casa di R, giusto prima del passeggio dopo gli scalini – sabato 1 aprile, già domenica 2.

Standard

poi t’incontrai

non dire niente a nessuno di ciò che ti accade; non dare niente a nessuno di ciò che ti è stato dato. adesso che ci penso è la prima volta che non sento i botti scoppiare alla mezzanotte. cosa devo riassumere? è tutto come prima ma un po’ meglio di prima, ciò che doveva accadere è accaduto e ciò che dovrà accadere, al momento, è impegnato a formarsi, quindi resterò ancora un po’ qui ad aspettare che i miei miti muoiano tutti, che succeda l’irrefrenabile, che l’ignoto si rompa il cazzo di ascoltare le mie storie, che le mie storie lascino segni, che i segni mi portino da qualche parte nel mondo che voglio, che il mondo che voglio si attrezzi ad accogliermi al buio, che il buio mi schiarisca le idee, che le idee percorrano chilometri e poi strappino un sorriso d’intesa, che l’intesa ci stia accanto per sempre, che per sempre sia rinnovabile, che rinnovabili siano anche i nodi che abbiamo fatto, che i fatti sussistano se mai dovessimo averne bisogno, che il bisogno sia bilaterale, che i miei lati si lascino smussare, che si possa migliorare almeno un po’ di ciò che abbiamo e cercare ciò che vogliamo per poi, magari, accorgersi che ciò che vogliamo non ci serve poi tanto.

tutta la mia vecchiaia in tutta la mia giovinezza: niente esperienza; molta pazienza. che ci serva da contatto, forse, a trovare il gusto in fondo alla pentola e il sapore negli alti palati; forse. che il tempo passa le pubblicità dei prodotti che ormai troviamo inutili, a meno che tu non abbia una tv, cinquant’anni e una disoccupazione. non ho mai visto un gufo da vicino, non ho mai varcato il confine italiano, non ho mai provato l’ebrezza di una montagna, ho avuto sempre un mare di tuffi a disposizione e ne ho usati troppi per fermarmi a guardare. mi chiedo di che vita abbia vissuto fino ad oggi se non ho mai smesso di rileggere ciò che ho scritto per trovare gli errori. che ci serva da distacco e noncuranza e che lasci splendere ciò che importa davvero.

imparare. tutto ciò che ho nella mia vita: i piani sfuggiti e quelli saltati due gradini alla volta, i miei stati d’animo e quelli tuoi, tutto ciò in cui credo…probabilmente non tutto è ancora quieto ma almeno è saldo ed ha delle fondamenta solide. non sto più nelle scarpe se toccano il suolo; a me di questo suolo proprio non frega più nulla e lo sai. prendere un aereo e dimenticarsi come si torna è il mio sogno più grande; sai anche questo. non ho ritrovato nulla, forse ho riscoperto cos’è un amico ed è successo dopo essermi innamorato di te e dopo queste cose più complicate tipo la febbre, i soldi, il lavoro. ho imparato di nuovo a camminare guardandoti camminare. ho imparato parole nuove ascoltandoti, ho imparato persino a cucinare mettendo le mani dentro l’impasto e condividendo lo spazio. per la prima volta mi rendo conto che le mie mani non sono poi così vuote come un tempo, forse è il tempo stesso ad averle colmate, forse un po’ anche tu sei il tempo ed io ne ho passato un sacco a chiedermi come mai, quando la risposta stava proprio davanti agli occhi. ho imparato anche a scrivere il silenzio, lungo, chiaro, stordente. è nuovo e mi trovo nuovo, tesoro. 

“when I met you I could not speak how I met you; then I met you” – Gennaio 2017, PA / MI – volo in ritardo e bufera di neve fuori dall’aereo.

Standard

and but so

Non è un momento di distacco, non è un missile nucleare, non è successo, non è il pieno, non è la mancanza, non è il recipiente, non è un parco, non è la mia età, non è il mio luogo, non è la mia mente, non è il controllo, non è la sensazione, non è che te lo aspetti e non è che non lo aspetti, non è la presenza, non è il peso, non è il bolo, non è il tremore, non è la pazienza, non è il silenzio, non è il nervosismo, non è la pace dei sensi, non è melanconia, non è anedonia, non è depressione, non è assolutamente niente di tutto quello che puoi sommare alla voglia che ho di stare a parlarti di com’è stato doloroso scrivere una virgola di questa vita e convincerti a leggermi, probabilmente constatando che non hai capito un cazzo di ciò che provo, perché è normale provare sensazioni diverse dalle mie. Perché siamo di carne e di aria e di altre cose che non so dirti nemmeno io perché trascendono troppo dal mio sapere e, nonostante questa mia parlantina, io giuro che non sono stato io, lo giuro. Cosa ti devo dire? Ho comperato un paio di scarpe da corsa¹ che mi permettono di correre un massimo di cinquecento chilometri, poi dovrò cambiarle; ne ho corsi circa cento da quando ho iniziato ed ho imparato talmente bene il mio percorso da conoscere il punto esatto in cui supero ogni chilometro partendo dalla porta di casa dei miei, imparato ogni pirtusu2 di quest’ultimo, perso dieci chili. Ho buttato via un po’ di fiato per ricavarne un po’ di calma. Avevo trovato un modo per uccidere i miei demoni; seppur temporaneamente io lo avevo trovato. Cosa vuoi che ti dica? Scrivo per scrivere e perché è gratis e perché passo troppo tempo a lamentarmi di quanto sia difficile fare qualunque cosa, perciò cambio discorso e, invece di parlarne, scrivo. Ci sono momenti in cui scrivere è uno sfogo e non posso scrivere di lei, di quanto sia bella quando ha gli occhi che guardano altrove, di quanto sia bello il suo sguardo addormentato, ma di quanto sia brutto il pane a Milano, di quanto mi piacerebbe andare a un concerto dei Radiohead e però non me lo posso permettere, di come sia dannatamente difficile, sconfinatamente complicato, difficoltà-i-am-death-incarnate3 passare una giornata intera con persone che non ti interessano affatto. Altre volte scrivere è un piacere e allora racconto dell’ultimo pancake, della musica che metto mentre dormo e allora scrivo di lei e lo tengo per me. O lo registro. Lo riassumo o lo sfogo ad un concerto. Cosa dici? Non è che non suono più, è che suono per conto mio e quando succede è l’apoteosi dei sensi. Scusa, ma che senso ha smantellare una stanza adesso? Prepararsi dici? Ma tutti i libri che ho messo da parte son tutti spiegazzati. Nel momento in cui saremo pronti ad affrontare quello per cui siamo cresciuti saremo così sfiniti che crolleremo nel rimettere ogni tassello al suo posto. Ci guarderemo castigando ogni anno di attesa, ogni aspettativa a cui abbiamo rinunciato. Sarà il sollievo per il collo sul cuscino, i nervi folderanno4 e conserveremo il tempo per riprenderci. Io col mio caffè e lei col suo cucinare compulsivo. Vorrei tanto riuscire a pensare a qualcosa che non sia sopravvivere, non prendere alcun calmante, non farmi sorprendere dal momento carico di confusione, non stare sempre a contare, non avere sempre e soltanto la stessa faccia; nel frattempo leggo un altro libro e mi cerco un po’ meglio, che forse mi trovo e magari mi trovo nuovo o, chissà, ritrovo il mio plettro.

miller-dfw-and-the-perils-of-litchat-1200

 

Nike Performance – FREE RUN DISTANCE – scarpa da corsa neutra – concord/offwhite/hypergrape/total crimson – Taglia: 44.

Buco, pronuncia: IPA: /pɪɾˈtu.su/ /pɪɾˈtu.zu/

Difficoltà selezionabile nel famoso sparatutto in prima persona sviluppato da id Software e prodotto da Apogee Software, Wolfenstein 3D, rilasciato nel 1995 per MS-DOSa. Avendo 5 anni nel ’95, ho iniziato a usarlo quando ne avevo 6 o 7 e soltanto perché possedevo un pc veramente vecchio per i tempi regalatomi dallo zio G. aMicrosoft Disk Operative System, sistema operativo per Personal Computer con microprocessori x86, sviluppato da Microsoft ed utilizzato dal 1982 sino al 2000. 

Dal verbo to fold (inglese), passare la mano. In questo caso viene utilizzato per sottolineare lo stress subito dall’individuo e la necessità di risposo quasi forzato.

Standard

nirvana

cadere, guarda com’è bello cadere e guarda come tutti si voltano a guardare, no, non guardano te che guardi, ma te che cadi, perché non credono ai loro occhi. quant’è bella la visione e i colori che sprigioni tu, la tua intelligenza e la curiosità. guardati come cadi, guardati e immagina l’impatto dell’inverno che farai una volta che passerà l’autunno, guarda. immagina quanto sarò contento di non sentire più caldo, cinismo per chi necessità difese, per non perdere quel poco dei nostri desideri congelati, stalattiti per popoli che vedono, finalmente vedono i nostri sogni lontani dalla tristezza e dalle distanze. il cielo ci necessita e viceversa, perché tutto accada di nuovo e rivivere le azioni, ricominciare, riparare, rifare, riparare, respirare, riparare, riciclare, riparare, respirare, per sempre, un’altra possibilità. non sono pronto per la libertà che non comprende le scarpe all’ingresso, dopo di noi ci vedo gli abissi e nonostante abbia imparato a nuotare, preferisco cadere su un letto a due piazze. sei la foga che mi prende quando l’urlo mi sdoppia e mi svuota la pancia dalle cose brutte, sei l’urlo di andrea in nirvana, tesoro. ti amo.

img_1459

Standard

Acqua

Avrei voluto almeno nuotare un’ultima volta prima che chiudessi i battenti. Giuro, te lo dico a viso nascosto soltanto perché sto sole rompe un po’ le palle, ma tu un’ultima volta avresti potuto farmi nuotare. Quando ero piccolo non mi bagnavo del tutto, nuotavo coi braccioli e tra la riva e la schiuma mio padre vegliava su me, i miei fratelli e qualche nave pirata. Poi è stato diverso, non l’ho voluto io, il mare. Alla fine mi tenevano vicino come se avessi il collare e così fu per tutto il resto, infatti se mai avrò figli la prima cosa che gli insegnerò sarà nuotare senza paura. Non che sia un nuotatore eccellente, per carità, ma i movimenti li conosco e poi se tutto va bene la sirenetta mi darà una mano e un’altra me la darà il tempo, che magari poi imparerò anche io questa sorta di preghiera. La maschera sott’acqua mi toglie gli occhiali e vedo tutto quanto e qualcosa in più. È bellissimo. Chi ci aveva mai pensato che potesse essere così bello andare sott’acqua e guardare senza toccare? Io mai “Vabbé, vado sott’acqua” mi dicevo. Saranno passati quindici anni almeno, ma alla fine oltre a scriverci accanto, ho imparato a lasciarmici andare. L’acqua dissolve, l’acqua rimuove, l’acqua è ovunque, sopra, sotto al mondo e alla base di ogni composto liquido o quasi. Io sono acqua e andare sotto è come non sentire la distanza. Non ha bisogno di capire come farà, alla fine riuscirà ad entrare dove vuole. L’acqua ti tiene fermo e fa passare i giorni, poi torna con un vento di fine estate che ti ricorda di chiudere le tapparelle di casa. Pazienza. Dentro il blu di nuovo, dove non batte il sole a dar fastidio agli occhi. Poi ti sfascia la casa, sfolla la gente, nelle onde più alte la distruzione è madre e lo schianto ti incolla alla sedia e ti tiene giù, sotto al cielo nero di una città qualunque e tu hai quasi finito i vent’anni e dal tuo settimo piano ti pare di vedere, lontana, una luce, una bolla d’aria, “conchiglie” pensi, un pezzo di soffitto ti nuota accanto insieme al rombo dei discorsi fatti sott’acqua, dalle urla e poi di nuovo lei, l’acqua che ti salva e ti ritira su. L’acqua dissolve, l’acqua rimuove. Questa è l’acqua. L’acqua è calma come le tue gambe stese da qualche parte a fare il morto a galla o a cercare pesci: entrare di cristallo; uscire di corallo. E in fondo ai piedi che tremano sui sassi per la paura di scivolarci addosso, così il sollievo si ripresenta una volta sulla sabbia – controlla bene le tue gambe e le tue mani, i graffi sugli scogli sono sacri, così tanto che il sangue che ne cola lo togli con la stessa schiuma che te lo ha regalato.

underwater-pictures-7336544

Standard

filosofia agricola

il silenzio della mattina presto a maniche corte, le chiavi di casa sbatacchiano nelle tasche, il rumore del mio respiro e il profumo di questo paese. non avrei mai pensato di imparare le strade così presto, e invece…il tempo passa e lascia i segni che vuole. nuove orme di piedi sulla terra di cui è fatta la mia vita, di tutti quelli che mi coltivano. il risveglio di sentimenti assopiti, addominali d’acciaio e Panaché. calibrazione di amicizie e nuove storie da ascoltare, nuovo vento. padrone del mio tempo, padrone di me stesso, padrone dei miei rischi, figlio di un figlio, padre di un padre. sono compagno di una vita, tu sei le mani sulla testa. il suono della serratura di un cancello e la frescura dei giardini di un castello. e un lago è un ricordo ricorrente, il piacere bianco riflesso sull’acqua che cresce i semi. e tutto quello che ho scritto è una pagina e un giorno. la traduzione dei miei pensieri, mille foglie, mille germogli. sei acqua e sapere.

la spesa che ho fatto mi ha portato lontano, mi ha dipinto di te.

svegliami quando arrivi.

tree222

Standard